Quinto e ultimo libro: “Le pietre
verbali” di Maria Corti. Un libro che a cinquanta anni dal
68 bisogna leggere e rileggere. Un testo che cerca di capire, senza entrare
nella sfera politica e sociale, come è nato quella rivolta generazionale e
forse anche perché è “fallita” in meandri oscuri della troppa libertà
individuale e collettiva. Il libro parla dell’incapacità di dialogare tra le
generazioni, tra padri e figli, tra professori e studenti e tra lavoratori e
impiegati. Non tanto per la voglia di ribellione, insita nei giovani, ma
quanto proprio nell’incapacità di parlare, di usare un unico linguaggio. La
storia si svolge propria all’alba del 68, nell’anno prima in cui i disagi
incubavano e gli studenti reagivano a una (me)stasi della loro vita. Un
professore di un liceo si accorge che non riesce più a “dialogare” con i suoi
studenti, ha difficoltà nel trovare un comune linguaggio ed è lontano dal
gergo che si sta diffondendo nel Paese tra le giovani generazioni. Nell’anno
seguente quando i protagonisti, i giovani studenti, arrivano alle università
la dialettica, il confronto e il futuro li porterà alla politica pseudoattiva.
La politica che con la sua forza, la sua vitalità, la sua disillusione e la sua
utopia li farà crescere e ribellarsi a un mondo da cambiare e plasmare. Anche
se anni dopo ci si è accorti di essere stati cambiati e plasmati noi stessi e
non il mondo intorno a noi. Da leggere per capire il valore delle parole,
specie in un momento dove tutti dicono e non dicono e soprattutto usano
svuotandole parole da rivalutare. Meditate M. Nove
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